Fiorire è un gesto politico: a Rimini, un progetto espositivo tutto al femminile
A cura di Leonardo Regano
Lo sguardo di Savorelli guida il percorso con delicatezza e profondità, risignificando l’immagine del fiore, spesso ridotto a stereotipo, come simbolo di forza e responsabilità. Seguendo il pensiero di Emily Dickinson, l’atto di fiorire diventa gesto politico e poetico, un’affermazione dell’essere nel mondo: non più fragile ornamento, il fiore diviene simbolo di forza generativa. Il suo crescere, oltre ogni asperità, diventa atto di resistenza e consapevolezza.
Tutte le opere si muovono con coerenza attorno a un asse comune: il gesto come pratica di memoria e resistenza. Il ricamo, la botanica, l’ibridazione tra corpo e natura, la decostruzione dell’immaginario domestico o vegetale diventano strumenti per restituire dignità a ciò che è stato escluso. Le artiste condividono un approccio che rifiuta la retorica e costruisce, invece, un linguaggio sottile, fatto di cura, stratificazione e trasformazione.
Carla Iacono (Genova, 1960), con Le Spose di Darwin, ridefinisce l’identità come mutazione armonica e antidoto alle discriminazioni: i suoi collage/bersagli, in equilibrio tra ironia e profondità scardinano il pensiero patriarcale. Armida Gandini (Brescia, 1968) rende omaggio a figure femminili della cultura in English Rose, trasformandole in ibridi bio-culturali tra botanica e letteratura. Silvia Vendramel (Treviso, 1972) esplora maternità e radicamento con materiali organici in sculture in cui il design si ibrida con l’organico: i suoi lavori incarnano un tempo ciclico e rigenerante.
Ilaria Margutti (Modena, 1971), da parte sua, trasforma il gesto del ricamo in un atto epistemico e filosofico: Figlie dell’Infinito mette in scena donne che abitano l’indeterminazione come spazio creativo. Silvia Margaria (Savigliano, 1985) riscatta la memoria storica femminile attraverso un florilegio temporale che unisce estetica e commemorazione. Anche Fatma Ibrahimi (Durrës, Albania, 1985) lavora sul trauma e sulla rinascita, con un erbario carnale che fonde corpo e dato vegetale. Ilaria Feoli (Avellino, 1995) e Anzhelika Lebedeva (Tver, Russia, 1995) indagano il tempo e lo spazio sospesi, il giardino e l’abbandono, come luoghi di possibilità: Feoli decolonizza l’immaginario floreale, mentre Lebedeva anima rovine con presenze spettrali che sfidano l’oblio.
Camilla Giannotti (Napoli, 1997) cristallizza la memoria domestica con un’estetica dolceamara e consapevolmente femminile. Federica Gottardello (Brescia, 2000) e Martina Biolo (Padova, 1996) rinnovano i linguaggi del cucito e dell’artigianato, trasformando il privato in traccia collettiva. Infine, Federica Mariani (Milano, 2000) decostruisce l’albero come simbolo patriarcale, proponendo l’inclinazione – non la rigidità – come etica alternativa.
«Quando Gianluca Zamagni mi ha chiesto di ideare un progetto curatoriale tutto al femminile, con uno sguardo alle nuove generazioni, mi sono innanzitutto posta delle domande, come “Che valore può assumere oggi il rendere omaggio alla figura della donna attraverso la visione di donne artiste appartenenti a generazioni differenti, utilizzando non il linguaggio urlato, violento, da cui siamo bombardatə ogni giorno ma la forza della parola che connette e crea immaginari in cui la visione prende forma? Può una visione poetica essere, al contempo, politica? Cosa significa preservare la memoria e traghettarla attraverso le generazioni, in una società sempre più dedita al dimenticare e all’omettere?”. Le risposte a cui sono giunta sono divenute attivatrici di memoria, riconnettendo in un grande arazzo collettivo le singole “trame” delle dodici artiste selezionate, con un ventaglio generazionale che va dagli Anni ’60 ai primi anni Duemila», sottolinea la curatrice della mostra, Livia Savorelli.
L’invito a “tessere memoria” non è, quindi, solo un titolo ma è un atto di presa di responsabilità. Ogni opera è un nodo, ogni gesto un filo. Insieme, le artiste compongono un arazzo potente e necessario, dove il fiorire è una scelta consapevole, nonostante tutto.
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